Le nubi di Cambridge Analytica sulla testa di Facebook non si sono ancora diradate che ecco profilarsi all’orizzonte una nuova, e potenzialmente ancor più grave bufera. Stando infatti a quanto riportato dal New York Times – che ha citato fonti anonime a conoscenza dell’indagine – il social network di Mark Zuckerberg sarebbe finito al centro di un’inchiesta penale da parte delle autorità statunitensi, per alcuni accordi di cessione dati stretti con i più importanti colossi del web e dell’hi-tech, tra cui almeno due grandi produttori di smartphone e altri dispositivi.
Il gruppo a cui fanno riferimento le anticipazioni della stampa sarebbe formato da oltre 150 aziende, tra cui anche Amazon, Apple, Microsoft e Sony. L’ipotesi dell’accusa, ovviamente ancora tutta da verificare, è che diverse di queste aziende abbiano ottenuto l’accesso alle informazioni personali di milioni di utenti, raccolte e cedute però senza il loro esplicito consenso.
Per questo motivo l’ufficio della procura dell’Eastern District di New York avrebbe già ordinato a Facebook di produrre tutta la documentazione relativa. Facebook, tramite un proprio portavoce, ha espresso al New York Times la sua piena volontà di collaborare: “Stiamo cooperando con le indagini e prendiamo queste inchieste molto sul serio. Abbiamo concesso audizioni pubbliche, risposto a domande e ci siamo impegnati a continuare a farlo”.
Negli ultimi due anni, in seguito alle grandi pressioni mediatiche e legali, Facebook si sarebbe sobriamente sfilata da questi accordi, ma ovviamente se le accuse dovessero essere verificate, non sarebbe sufficiente a salvare Facebook.
Nel 2017 l’affaire Cambridge Analytica, al di là della sua probabile infondatezza, ha scoperchiato un vero e proprio Vaso di Pandora, i cui effetti non sono ancora pienamente attivi. Solo tra qualche altro anno ne scopriremo la portata, ma la sensazione è che sotto la spinta dell’opinione pubblica e in maniera abbastanza ipocrita, ci sia la volontà di trasformare Facebook nel capro espiatorio, l’agnello da sacrificare per ristabilire il giusto ordine. Questo modello di business, al cui centro ci siamo noi stessi in forma di merce, è invece purtroppo assai radicato e diffuso e non sarà una punizione esemplare a Facebook a risolvere il problema.
Sia come sia da due anni il social network annaspa alla ricerca di una rinnovata credibilità e, benché apparentemente gli scandali non abbiano – ancora – avuto effetti apprezzabili sul social, è assai probabile che nel medio termine, si vedrà un impatto negativo, soprattutto se eventualmente dovesse concretizzarsi anche questa accusa.
Di recente Mark Zuckerberg ha provato a illustrare come intende affrontare le sfide del futuro, mettendo l’accento sul passaggio a forme di comunicazione più private e circoscritte e all’adozione di strumenti di protezione della privacy, ad esempio attraverso la cifratura integrale dei messaggi.
Purtroppo però, come hanno già evidenziato diversi esperti del settore, il nodo della mercificazione dei dati personali degli utenti, non solo non è stato affrontato, ma è più presente di prima. Se infatti la cifratura riguarda soltanto i dati, ma non i metadati, ossia le etichette che servono a identificarli, in realtà impedisce solo ai governi di controllare il traffico, offrendo anche un rifugio sicuro a criminali di vario tipo, mentre le aziende saranno ancora in grado di profilare gli utenti per gli scopi più disparati.
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